Partenza dall’aeroporto di Fiumicino
Son solito farmi accompagnare dai miei amici alla stazione della mia città di Chieti dove prendo l’autobus che mi porta in aeroporto.
Ricordo i miei primi viaggi all’avventura dove durante quelle ore prima della partenza mi mettevo a guardare i paesaggi fuori dal finestrino ed il più delle volte ero preso da immotivati stati quasi di ansia accompagnati da irrequietezza.
Nonostante questo sarà forse uno dei viaggi più impegnativi della mia carriera di viaggiatore fotografico e sto trasportando dell’attrezzatura fotografica molto costosa ed importante, non ho minimamente quel cocktail di emozioni euforiche che mi hanno sempre accompagnato in passato.
Anzi, a dire il vero mi sento molto tranquillo e sereno e non so se questa cosa è data dal fatto che sono abituato a certe esperienze o semplicemente perché col tempo si cambia e si diventa più pacati. Non saprei onestamente.
L’unico timore che avevo in aeroporto era per il mio bagaglio a mano il cui peso non poteva superare gli 8kg ed io ne avevo 16 ma come spesso accade (specie per le grosse compagnie), il bagaglio a mano non te lo controllano neanche.
Al check-in mi informano che il mio volo sarebbe partito con un’ora di ritardo ma onestamente non mi avrebbe fatto nessuna differenza, tanto avevo comunque una tratta da 14 ore ed un’ora in più sinceramente non mi avrebbe guastato il sonno.
Era ora di cena e mi siedo ad un ristorante al piano superiore dei tanti corridoi di Fiumicino per spendere gli ultimi euro liquidi che avevo e decido di concedermi una cena un po’ più costosina: una bella tagliata di manzo con contorno di verdure.
Appena ordino, sento un ragazzo dallo spiccato accento inglese chiedere al cameriere se ci fosse una presa di corrente disponibile per caricare il telefono ma l’espressione del cameriere indicò un palese no.
“Se vuoi posso darti il mio powerbank, ho il telefono completamente carico” gli dico girandomi verso di lui.
Si chiama Buda, era inglese ed era appena stato a Salerno per un incontro di lavoro.
Finiamo per condividere lo stesso tavolino poiché se avesse fatto la fila per il posto avrebbe impiegato una buona mezz’ora ed io ero solo e avevo spazio nel mio tavolo.
Chiacchieriamo di circostanza, come si fa con le persone sconosciute che sai che saranno solo di passaggio. Poi si alza, mi ringrazia per il powerbank e per il posto a tavola, paga il suo conto e se ne va. Sinceramente? Mi sarei aspettato un caffè offerto ma va bene così.
I display dell’aeroporto mi indicano che il numero del mio gate era uscito così pian piano mi avvio.
Ero convinto di trovare il mio aereo semi deserto, quante persone andranno mai a settembre da Roma a Buenos Aires e dentro me stavo già pregustando la comodità di una bella fila di sedili tutti liberi dove una volta in volo mi sarei potuto allungare esattamente come mi capitò una volta nella tratta Sydney – Dubai ma invece… l’aereo è strapieno. Ed indovinate un po’? Mi danno il posto 60B, il centrale.
Il peggiore…
14 ore schiacciato tra una donna che ha dormito tutto il tempo senza aver mai mangiato nulla e mai alzatasi per andare in bagno ed un tipo che non ha spiccicato una parola per tutto il viaggio.
Buenos Aires
Se il Marocco è stato il paese che più di tutti mi ha trasmesso tranquillità e sicurezza nel girovagare tenendo esposta la macchina fotografica, di certo non posso dire lo stesso dell’Argentina.
Certo, son trascorse solo 24 ore dal mio arrivo ma se vi dico che il clima non è dei migliori, fidatevi che è così.
In qualsiasi capitale del mondo (Lisbona, Varsavia, Berna, Vienna, Oslo, Helsinki, Bratislava e persino a Bucarest) non ho mai avuto il minimo timore a girare scattando foto.
Beh, qui la situazione è assai diversa e basta pensare che ad ogni angolo della scacchiera della città, semafori e incroci ci sono guardie armate e polizia e queste uniche foto scattate con la macchinetta le ho fatte tutte rimanendo a pochi metri da loro, come se volessi essere sotto la loro visione.
Mentre camminavo verso il barrio “La Boca” per giungere alla famigerata “Bombonera” c’era un bellissimo parco strapieno di pappagalli dal colore verde che non avrei comunque potuto fotografare con un obiettivo grandangolare e per un attimo l’idea di tornarci nel pomeriggio con il teleobiettivo mi stava ronzando nella mente.
Sarebbero stati scatti relativamente semplici, belli e particolari allo stesso tempo, ma di rischiare grosso sinceramente non è il caso e comunque non sono qui per i pappagalli che potrei vedere altrove e con più calma.
Quando sono arrivato nel barrio tenevo il passo svelto e la testa bassa, come se volessi dare l’impressione di uno che conosce la zona e che stava andando in un posto ben preciso e non alzavo mai gli occhi per ammirare il luogo in cui mi trovavo.
Il museo del Boca Juniors apriva alle 10 ed in quell’ora di attesa mi son buttato dentro un bar a sorseggiare un caffè ma senza mai destare il sospetto di essere un fotografo-viaggiatore ma semplicemente rimanendo disinvolto.
Ovvio che non è stato tutto come camminare con una benda agli occhi e se dovevo uscire per non veder nulla ed avere la sensazione di essere osservato da tutti sarebbe stato meglio rimanere in hotel ma non è stato così ovviamente. Anche i tassisti consigliano di mantenere la massima cautela perchè siamo in una grande capitale del Sudamerica ma alla fine basta osservare tutte le misure cautelari e farsi i propri giretti senza dare nell’occhio.
Domani un primo volo interno verso il Sud, verso la Patagonia.
Un ultimo check totale e poi ci sono.
ADELANTE…
Viedma
Prima di iniziare la mia avventura fotografica in questa parte di Patagonia mi è stato detto (dapprima da una signora sull’aereo e poi da altre persone del luogo) che da un mese a questa parte stanno morendo diverse decine di leoni marini a causa di una febbre aviaria.
Le spiagge a diretto contatto con le cittadine e villaggi sono state chiuse per evitare un potenziale contatto tra gli animali in decomposizione e le persone che spesso portano i loro cani a spasso nelle spiagge. Non si è ancora capito se questa malattia possa essere trasmissibile all’uomo o ad altri animali ma sembra comunque che la situazione va via via migliorando e che le spiagge saranno nuovamente accessibili nel giro di pochi giorni.
Nei mesi che antecedevano la mia partenza avevo avuto modo di documentarmi in maniera approfondita su tutto quello che avrei potuto incontrare in queste vaste aree della Patagonia e più di tutto ero rimasto colpito dal fatto che in quest’area vive la colonia di “Loro Barranquero” (Parrocchetto delle Tane in italiano) più grande al mondo.
Ora, immaginate una scogliera che si estende per 70 km lungo una costa e che tutta l’intera scogliera è stracolma di pappagalli dall’inizio alla fine. Ovviamente ho portato con me tutto il mio arsenale fotografico.
Pur essendo ancora nella parte Settentrionale dove inizia la regione, la situazione inizia già ad assumere le sue tipiche sembianze patagoniche: aride steppe, scogliere frastagliate, strade sterrate ed il forte vento che credo sarà il perenne compagno di viaggio di quest’avventura.
Qualche mese fa avevo stilato una lista di target fotografici per questa missione in Patagonia (un po’ come avevo fatto con il Costa Rica, solo che lì me ne ero prefissati solo 5) e dopo soli due giorni posso già tirar fuori la penna ed iniziare ad accorciare la lista della spesa.
Di armadilli ne avevo già visti diversi anche il primo giorno ma tutti fotografati da dietro mentre erano in fuga ed invece ieri lo becco mentre è fermo di fianco ad un arbusto, credendo di mimetizzarsi.
L’incontro più bello però è stato decisamente quello con la Volpe della Patagonia (el Zorro, come si dice quì) che mi attraversa davanti quasi inaspettatamente poichè ero lì che tentavo di fotografare dei nandù in corsa cercando di ottenere un’inquadratura degna di questi scenari che meritano di essere raccontati insieme ai soggetti in questione. Un’occasione ghiotta che non potevo assolutamente perdere ed insomma, in due minuti ho portato a casa due immagini che saranno icona di questo viaggio.
Oggi un’ultima battuta di caccia fotografica per poi proseguire il viaggio verso Sud, entrando sempre di più nel cuore della Patagonia.
Il viaggio è ancora lungo, il territorio è enorme e di tempo ce n’è molto. Proseguiamo con calma.
“Goditela”, era questa la parola d’ordine del viaggio.
Adelante.
Esisteva un solo modo possibile: rischiare.
La colonia di leoni marini era a circa 13km e andava monitorata la marea che sale e scende ogni 6 ore ed ogni giorno ha orari diversi.
Io e Pablo (il mio fidato assistente dei primi giorni) avevamo due opzioni: arrivare fino ad un certo punto col pick-up e poi camminare a piedi per svariati km oppure avventurarsi col quad e cercare di avvicinarsi il più possibile.
Vada per il quad.
C’è stato un solo punto in cui ci siam dovuti fermare per una mezz’ora ed attendere che scendesse la marea ma poi a parte qualche minuzioso slalom tra le rocce siamo andati spediti come non mai.
Arrivo ed eccoli: un’imponente colonia di leoni marini.
Un casino assurdo tra versi e combattimenti che son riuscito a documentare bene mettendomi a riparo tra le rocce ed avevo i primi esemplari a meno di dieci metri di distanza.
E’ stata forse l’ora di wildlife photography più bella della mia vita. Un posto totalmente sconosciuto alle persone che solamente i pescatori (amici di Pablo) potevano indicarci ed infatti se non fosse stato per lui e per loro, non lo avrei mai potuto trovare.
Ah, per non parlare delle decine di balene che abbiamo visto dalla spiaggia e ce n’è stata una che ci ha salutati prima di ripartire.
Tutto semplicemente assurdo che ieri mentre ero sul bus difficilmente riuscivo ad assorbire tutto il cocktail di emozioni provate.
Adelante.
Patagonia
Lasciatomi alle spalle la provincia di Rio Negro dopo tre giorni magnifici ed intensissimi segnati da tantissimi incontri, inizio a scendere ulteriormente verso Sud, nella provincia di Chubut.
Avevo un contatto Facebook da diverso tempo che a sua volta mi ha dato altri contatti per poter ottenere maggiori informazioni sull’area che mi vedrà come visitatore per i prossimi dieci giorni, un’area che esplode di natura come non mai.
Durante la tratta in autobus prenoto un alloggio, sembrava tranquillo e soprattutto non molto dispendioso.
Arrivo, sistemo la camera, esco per cena ed inizio a prendere i primi contatti ma la cosa più importante era affittare un mezzo per potermi muovere liberamente.
A fortuna trovo un’agenzia che aveva un ultimo veicolo disponibile dopo che c’è stata una disdetta ed ecco la mia duster 4×4 per i prossimi giorni con cui mi avventurerò.
Il primo giorno inizia col botto: 500km di strada di cui 120km su terra e pietra per poter andare alla ricerca di pinguini, guanachi ed elefanti marini.
Il pinguino che si trova in quest’area del mondo è uno delle 18 specie esistenti sul pianeta terra e stiamo parlando del “Pinguino di Magellano” che in questa parte dell’anno risale la costa per nidificare e se ne possono ammirare a flotte.
Di ritorno dalla colonia riesco a scorgere tra la steppa diversi guanachi, un ungulato dalle dimensioni di un cervo ma l’incontro più spettacolare è stato quello con gli elefanti marini.
Son sceso fino alla spiaggia direttamente con la macchina e da lì ho iniziato il mio lavoro trovandomi a pochi metri da loro.
La strada era un tantino pericolosa dopo la pioggia dei giorni scorsi e la mia Duster era diventata un tutt’uno con la terra ed anche questo mi fa salire l’euforia alle stelle perché sa di avventura.
Le riprese che son riuscito a girare sono senza precedenti: non avevo mai fatto dei video così spettacolari e mi sentivo come se stessi girando un documentario per National Geographic.
Ero lì, solo in una spiaggia immensa e deserta a girare riprese agli elefanti marini in una spiaggia della Patagonia: non credevo ai miei occhi.
La primavera australe decide di debuttare con un sole come non si vedeva da diverso tempo e nel piccolo porticciolo di pescatori la mia giornata inizia col verso del corteggiamento di leoni marini che ormai sembrano avere la residenza nel villaggio e lungo la foce del fiume l’eterna lotta per il pesce fresco tra foche e gabbiani sembra non avere mai tregua.
Erano le dieci quando ci siamo lasciati il porto alle spalle per buttarci in mare aperto alla ricerca dei Cefalorinchi di Commerson e dopo un miglio dalla foce del canale portuale una balena franca australe festeggia l’inizio della nuova stagione mettendo in risalto la sua maestosità.
I sentieri oceanici diventano accessibili e le coste brulicano di vita.
Una femmina di elefante marino cerca in tutti i modi di rovinarmi l’unica fotografia paesaggistica che volevo scattare, le beccacce di mare riescono in ogni modo ad intrufolarsi nell’inquadratura, ed i serpenti escono dal letargo storditi dai lunghi mesi di inattività, incuranti del mio attraversamento.
Ero sicuro che la mia giornata fosse giunta al termine ma non avevo fatto il conto con i guanachi che mi hanno costretto a scendere dalla macchina per potermi fare spazio sulla strada.
Non è un sogno, è la Patagonia.
E’ il mio viaggio.
E’ la mia opera.
E’ Adelante.
Chubut
Ero consapevole di stare per entrare nel vivissimo del viaggio (non che finora non l’abbia fatto, ma quest’area è particolarmente ricca) e mi sono preparato mentalmente a tutto: alle lunghissime strade sterrate, alle infinite ore di attesa, agli spazi deserti senza connessione.
Lasciato il porticciolo dove ho ammirato i Cefalorinchi di Commerson e la ristretta colonia di leoni marini salgo verso Puerto Piramides, un piccolo villaggetto con qualche attività commerciale e tantissimi “avistajes” (avvistamenti) per balene.
Puerto piramides è famosa nel mondo perché le sue acque in alcuni periodi dell’anno brulicano di balene e le si vedono dalla riva e non sto parlando di centinaia di metri dalla riva, ma una decina.
Quella che viene a visitare queste acque è la “balena franca australe” e sembra le piace intrattenere le persone con le sue spinnate e salti in superficie.
Il primo giorno che sono arrivato in questa zona dopo aver lasciato la provincia di Rio Negro dove son stato all’inizio del viaggio, avevo incontrato una ragazza che ho contattato tramite un altro contatto che avevo su facebook.
Finora mi ha stupito tutto in questo paese ma ciò che mi ha veramente colpito è stata l’apertura e la disponibilità da parte delle persone: Nani, questa ragazza che ho incontrato, in mezz’ora seduti al bar ha chiamato per me la tipa dell’alloggio in cui mi trovo ora (e che alloggio), ha chiamato un contatto che le ha dato il numero dell’agenzia per poter affittare l’auto che all’inizio non aveva disponibilità ma poi c’è stata una disdetta ed è stato così che ho avuto la mia Duster 4×4.
È stata una concatenazione di eventi assurda, quasi magica.
La mia macchina mi ha portato ovunque e senza troppi problemi (anche se in pochi giorni l’ho portata al lavaggio ben 3 volte per tutta la terra presa ma è stato bellissimo avventurarsi tra le strade deserte) e a pensare che l’agenzia non mi ha chiesto una cauzione come fanno le agenzie internazionali e neanche un’assicurazione. Ho solo pagato il costo del noleggio con la possibilità di mantenere l’auto per qualche giorno extra con anticipata comunicazione e Martin, il tipo dell’agenzia, spesso mi scrive per sapere come sta andando. Tutto incredibile.
In questi giorni in penisola ho visto moltissime cose interessanti e vissuto emozioni incredibili ma due sono quelle che ricorderò per sempre: il mirador (belvedere) su una spiaggia dove è possibile ammirare una colonia di elefanti marini che in questo periodo sono in riproduzione e la spiaggia delle balene dove mi sono arrivate praticamente sotto il naso avvicinandosi a 10 metri dalla riva.
Nel mirador sono stato per tre giorni di fila per un motivo: le orche.
C’è una famiglia di orche che da generazioni si tramanda una tecnica di caccia che è possibile ammirare solo in questa parte del mondo: la tecnica dello spiaggiamento.
Le orche qui vengono a cacciare i cuccioli di elefante marino direttamente sulla riva, come se volessero spiaggiarsi sulla sabbia rischiando veramente di rimanere arenate sulla sabbia data la possenza dell’animale.
Il primo giorno sono riuscito a vederne due dal mirador ma erano veramente lontanissime mentre gli altri giorni sono stato ad ammirare gli elefanti nei loro corteggiamenti e scontri tra maschi.
Nell’andata e nel ritorno dal mirador spesso mi fermavo a fotografare guanachi ed altri animali che attraversavano accidentalmente la strada sparendo poi nell’infinita steppa circostante senza darmi la minima possibilità di fotografarli.
La spiaggia delle balene è stata un’emozione che non si può descrivere: le balene le ho sempre immaginate miglia e miglia a largo dalla costa mentre qui si sono avvicinate veramente dieci metri dalla riva e quando ho mandato foto e video ai miei amici non riuscivano a credere a quello che stavo vivendo.
In questo viaggio per la prima volta mi sto dedicando tantissimo anche alle riprese e alle balene avrò fatto decine e decine di filmati oltre alle fotografie ma i filmati trasmettono emozioni diverse perché si può ammirare il loro giocare sulla superficie dell’acqua.
Sapevo che questo viaggio mi avrebbe regalato emozioni e grandi sorprese ma non pensavo minimamente ad un’intensità tale.
Rio Gallegos
Il viaggio è partito subito con dell’incredibile e sembra voler continuare su questa via e ancora volta, le cose interessanti sono sempre quelle inaspettate.
L’idea era quella di prendermi due giorni di riposo prima del freddo che mi aspetta sulle Ande ma poi le cose sono andate diversamente e a parte le 19 ore di trasferimento in bus che sono diventate 22 per la partenza in ritardo, il resto scorre da sè.
Negli anni 50/60 una sorella di un mio bisnonno materno si trasferì in Argentina e tramite altre parentele sono venuto a contatto con un suo pronipote (quindi un mio cugino di non so quale grado) che è un mio coetaneo, fotografo naturalista anche lui ed è un guardiafauna, un po’ come la guardia forestale in Italia.
Vive in Rio Gallegos, a Sud, e siamo poco distanti dal Chile e dalla terra del fuoco, la punta estrema.
Il bus arriva per ora di pranzo. Andiamo a casa sua, conosco “i parenti”, pranzo e via a vedere il relitto.
Una guardia forestale e fotografo sa bene dove portarti e quando spari raffiche in primo piano ad un gufo di palude in pieno di giorno o ad una volpe patagonica ti rendi conto che questo viaggio è esattamente come lo desideravi.
C’è un altro posto assurdo che è icona di quest’area ed oggi andremo a fare visita. Si chiama Laguna Azul ed è una pozza formatasi su di un vulcano inattivo nel bel mezzo del nulla.
Volevo due giorni di riposo avevo detto, certo.
Credeteci.
Il Puma
Tutti i fotografi wildlife sognano incontri straordinari con creature uniche al mondo, e i felini, da sempre, esercitano un fascino irresistibile sugli uomini. Il puma, noto anche come “Leone di montagna”, presenta somiglianze evidenti con le leonesse e si distingue per l’assenza di dimorfismo sessuale, rendendo difficile discernere il sesso, a differenza dei leoni con la loro criniera distintiva. Questi animali, solitamente solitari, occasionalmente si riuniscono in gruppi di 3-4 individui, un fenomeno riscontrato di recente nelle aree del Cile.
La vasta steppa patagonica ai margini del Parco Nazionale Torres del Paine, a Sud del paese, ospita una concentrazione elevata di puma, attratti dalla presenza abbondante di guanaco, la loro principale preda. Per una settimana di spedizione dedicata alla fauna selvatica, ho collaborato con Cristina, una esperta Puma Tracker e fotografa internazionale di animali in natura. La sua competenza non solo nell’individuare e creare le condizioni ideali, ma anche nel selezionare i luoghi migliori per gli scatti, ha reso l’esperienza straordinaria.
La ricerca e l’avvistamento di questi felini nelle immense steppe presentano sfide uniche: i puma sono prevalentemente attivi di notte, e l’osservazione attraverso il binocolo è complicata dal vento. Osservare il comportamento dei guanaco è fondamentale, poiché il loro allarme può indicare la presenza di puma nelle vicinanze. Il primo incontro avviene dopo 4 ore di perlustrazione, quando Cristina individua un puma che si gode il sole su una rupe, seguito da un secondo a breve distanza.
L’approccio ai puma richiede attrezzature complete, considerando le variabili del tempo e la durata dell’incontro. Tuttavia, mantenendo una distanza rispettosa, i puma di solito non si sentono disturbati e offrono numerose opportunità fotografiche. Un momento memorabile è l’interazione tra tre puma sulla rupe, seguita dall’avvistamento di una madre e un cucciolo in una steppa vicina, il cucciolo timido ma incuriosito dalla nostra presenza.
Una scena straordinaria si verifica quando la madre protegge il suo pasto, un guanaco cacciato il giorno precedente, da un uccello rapace. Le immagini catturate in questo contesto, con i colori naturali del puma nel suo ambiente, suscitano emozioni profonde e rendono l’esperienza unica.
Gli avvistamenti successivi non raggiungono l’intensità del primo giorno, fino a quando, il quinto giorno, si osserva un puma adulto in una posizione riparata dal vento, accompagnato da nuove carcasse cacciate dallo stesso felino.
L’esperienza culmina con l’avvicinamento di un puma adulto alle macchine fotografiche, creando un momento di incanto e sfida. La fotografia della vita selvatica assume un significato profondo, trasmettendo l’essenza di una passione dedicata e il privilegio di vivere un’esperienza così straordinaria. Il clik dell’otturatore diventa il simbolo di un capitolo indimenticabile, chiudendo la settimana che rimarrà impressa nella memoria per sempre.
El Calafate y El Chalten
Dopo la bellissima parentesi Cilena (anche se non posso dire di aver conosciuto il Cile), prendo un nuovo autobus che mi farà rientrare in Argentina.
Di nuovo la dogana ed i suoi controlli ed una tratta accettabile che questa volta sarà molto breve, circa 3 ore, con direzione El Calafate.
Avevo una forte necessità di riposare e staccare un attimo la spina dopo l’intensissima settimana dedicata ai felini così decido di non fare assolutamente nulla ma di godermi la cittadina con le sue lagune ed il suo pezzo pregiato: il ghiacciaio Perito Moreno, icona mondiale.
La fama del ghiacciaio è dovuta al fatto di essere credo l’unico ghiacciaio che si trova nella fascia temperata del globo, oltre ad essere oggettivamente bello da vedere con i suoi colori molti accesi che invoglia alla fotografia e nonostante io non sia un paesaggista, non potevo non scattare qualche immagine, anche solo per poter dire un giorno di esserci stato.
Gli altri giorni ho fatto qualche passeggiata tranquilla in una laguna dei dintorni della cittadina imbattendomi in qualche rapace che dava i suoi spettacoli in volo durante le sue sessioni di caccia. Il vento forte mi ha aiutato parecchio nella realizzazione delle foto poiché teneva il soggetto fermo mentre planava controvento ed è stato relativamente facile scattare.
Dopo qualche giorno ho raggiunto El Chalten, conosciuta in Argentina come la capitale del trekking.
Non avevo troppa energia per potermi imbattere nel famigerato Fitz Roy, la montagna iconica che si specchia sulle lagune blu cristallo così anche ad El Chalten mi sono limitato a qualche sentiero facile ma che comunque ha dato soddisfazione: ho incontrato “El Huemul”, un ungulato molto simile al cervo e poiché non ce ne sono tantissimi di esemplari viventi, sono stati scatti importanti che poi ho condiviso con la riserva che gestisce il parco e che tiene monitorati tutti gli esemplari ed infatti mi hanno fatto compilare un form dove chiedevano tutte le info sulla posizione dove è stato incontrato l’animale.
Arriva poi il giorno di riprendere il primo aereo dopo più di un mese.
Il primo ed unico aereo era stato quello che da Buenos Aires mi ha portato nel Rio Negro.
Ushuaia (El fin del mundo)
Dopo un cortissimo volo interno della durata di un’ora sono finalmente arrivato alla punta estrema del Sudamerica, Ushuaia.
C’era una lunghissima fila per prendere il taxi e finalmente dopo una buona mezz’ora di coda riesco a prendere il mio che mi porta nel mio alloggio, a pochi chilometri di distanza.
Come alloggio avevo trovato una stanza singola in un appartamento leggermente fuorimano ma la cosa buona è stata che praticamente ho avuto l’intero appartamento tutto per me perché l’altra stanza era vuota. E ho pagato veramente poco.
Faccio spesa, sistemo tutto ed esco.
Arrivo al porticciolo, scatto la classica foto turistica con la scritta “Ushuaia” (questo è un must) ed inizio a scrutare tutti i chioschetti del porticciolo che offrono le varie attività di escursione e attraversamenti del canale di Beagle.
Avevo già fotografato i pinguini di Magellano in Chubut ma non ne ero molto soddisfatto perché cercavo foto con i soggetti a contatto con l’acqua mentre quelle che avevo scattato più a Nord erano foto di pinguini che risalivano le coste per la nidificazione.
Trovo le mie attività: un’uscita pomeridiana navigando lungo il canale di Beagle con visita nei vari isolotti dove ci sono enormi colonie di pellicani e di leoni marini. Questi ultimi li avevo fotografati ormai mille volte ma ogni volta cambiava contesto e luce e quindi era come se fosse sempre una nuova situazione.
Avevo anche in mente di dedicarmi ai rapaci e sapete cosa ho fatto? Ho chiesto al tassista di farmi accompagnare alla discarica. Perché? Perché nella discarica c’è cibo facile e la Patagonia ha molte specie di uccelli necrofagi, come il Carancho Caracara, avvoltoi e Chimango.
Io ero nella parte più a Sud dell’America in una discarica a cercare uccelli rapaci da fotografare. Eh si, esattamente così.
La sorpresa è stata la bellissima Aquila del Chile, di colore bluastro che mai mi sarei aspettato di incontrare. Maestosa e bellissima.
Poi c’è stata una nuova navigazione dedicata ai pinguini.
Ho avuto l’occasione di ammirarli nei corteggiamenti, durante gli accoppiamenti ed anche mentre nuotavano a pochi metri dalla riva in cerca di cibo.
La perla finale è stato incontrare il pinguino Papua che non è per nulla scontato e a differenza del Magellano, ha le zampe ed il becco di colore arancione.
L’ultimo giorno mi sono dedicato alla ricerca del famoso picchio con la testa rossa, il carpintero, sempre accompagnato dal mio tassista di fiducia a cui ho anche lasciato una bella mancia per avermi aiutato nella ricerca dei miei soggetti.
Cinque giorni bellissimi, ora iniziamo la risalita.
Ritorno in Chubut
Un volo diretto interno da Ushuaia fino a Trelew per dare una seconda battuta ai luoghi già visitati il mese precedente. Nella fotografia naturalistica tutto cambia in un secondo e ci si può sempre trovare in situazioni inaspettate.
A Settembre avevo stretto amicizia con la titolare dell’agenzia che organizza i safari in barca ed anche con la fotografa ufficiale dell’organizzazione ed essendo rimasti in contatto nel frattempo che mi avventuravo nella Patagonia del Sud, ci siamo rincontrati per fare qualche uscita fotografica assieme.
Siamo prima andati a far visita ad una colonia di leoni marini che vive stabilmente vicino ad un porticciolo e abbiamo assistito ad una scena spettacolare: una stranissima interazione tra un giovane leone marino ed un gabbiano. Inizialmente ho pensato ad una predazione ma alla fine non è stato così. E non è stato neanche un gioco. Un comportamento veramente strano ma che mi ha regalato delle foto bellissime ed un particolarissimo documento.
Inoltre c’era il maschio alfa della colonia che corteggiava le femmine.
Il mattino seguente vado a fare il safari in barca e viene fuori una nuova sorpresa: oltre ai delfini di Commerson, ci viene a far visita un rarissimo delfino australe che inizia a saltare a ripetizione a poche decine di metri dal gommone del safari. Un incontro veramente assurdo e spettacolare.
Per un’intera settimana è andata quasi tutti i giorni così: mattino safari in barca e il pomeriggio riprese e foto ai leoni marini.
Tra Rio Negro e Neuquèn
Negli anni ’50 una delle sorelle di mio nonno materno emigrò in Argentina e ancora abita nella provincia di Neuquèn.
Avevo ancora una settimana abbondante prima di lasciare il paese e avevo solo una gran voglia e bisogno di riposare e staccare un attimo dopo i due mesi intensissimi.
Vengo ospitato da questa mia zia e dalle sue figlie che sono le cugine carnali di mia mamma e mi hanno fatto conoscere la loro zona portandomi a visitare diversi luoghi, tra cui il “Lago Pellegrini”.
Anche qui ho avuto un fortunatissimo incontro con una civetta delle tane che da queste parti chiamano “la Lechuza” e stava in un piccolo campo che fiancheggiava delle case abbandonate, luogo ideale per le civette.
In realtà non avevo più voglia di scattare ma non potevo farmi scappare un’occasione così ghiotta.
Arriva il giorno di lasciare il paese ma attenzione, perché il viaggio non è ancora finito.
Al prossimo capitolo che inizierà tra un paio di giorni.