Fes, è una città del Marocco che mi ha lasciato un ricordo indelebile. Mi perdevo tra le stradine, affascinato dalle bancarelle ricche di profumi, colori e vita animata da gatti randagi e persone inaspettate. Il mio alloggio, un Riad vicino all’arco blu, mi ha dato il benvenuto e mi ha facilitato il trasferimento dall’aeroporto, rendendo più agevole l’inizio dell’esplorazione di Fes.
Mi sono subito immerso nel vivace mercato, con frutta, verdura e animali. Prima di scattare foto, volevo capire come evitare di disturbare i cittadini o essere importunato. Il giorno successivo, ho esplorato nuovamente quei luoghi, cercando la tranquillità che la confusione della giornata precedente non permetteva di cogliere appieno.
La conceria, un luogo iconico di Fes che avevo già visitato nel 2015, mi ha affascinato nuovamente. Lì, le pelli degli animali vengono lavorate in grandi vasche circolari con coloranti naturali. L’odore pungente mi ha colpito profondamente, richiedendo persino un ramoscello di menta per mitigarlo.
Durante la mia esplorazione, ho incontrato Oussama, un giovane che mi ha guidato attraverso stradine nascoste, svelandomi i segreti della città. Alla conceria, ha accettato un’offerta libera per la sua guida. Siamo diventati amici e ho conosciuto anche suo fratello, il venditore di spremute d’arancia fresca. Seduto al suo stand, ho catturato con la mia macchina fotografica l’espressione autentica dei volti che mi circondavano.
Il giorno seguente, ho programmato di visitare Chefchaouen, la famosa città blu. Dopo una deliziosa colazione a base di crepes col miele, ho organizzato il mio viaggio.
Chefchaouen
La mia esperienza a Fes è giunta a una svolta, e il giorno successivo è stato tempo di saluti a Mohammed, il gentile titolare del Riad che mi ha accolto. La mia recensione in italiano, scritta con poche parole, ha contribuito a portare al Riad ben sette prenotazioni in una sola sera. Lasciare Fes è stato un momento di leggero dispiacere, ma c’era un’altra destinazione che mi aspettava: Chefchaouen.
Il viaggio in bus verso Chefchaouen è durato circa quattro ore. Fortunatamente, il mezzo era dotato di aria condizionata, essenziale dato il caldo che faceva già in primavera. Arrivati alla stazione bus di Chefchaouen, ci siamo spostati verso la parte alta della città, dove si trovava il centro e il nostro alloggio.
Mi sono svegliato presto il mattino successivo, desideroso di catturare le caratteristiche di Chefchaouen. La città è nota per il suo fascino unico, ma ho notato che negli anni era diventata molto turistica, con molte persone focalizzate solo su scatti da condividere sui social media, piuttosto che interagire realmente con il luogo e gli abitanti. Questo non era il mio approccio. Volevo catturare la vita quotidiana delle persone e il modo in cui interagivano con il loro ambiente.
Mi sono incamminato verso la città, senza un percorso prefissato, ma con l’obiettivo di cogliere momenti autentici. Chefchaouen era diversa dalla frenesia di Fes: meno caos e più tranquillità. Ho cercato di fotografare le persone immerse nelle loro attività quotidiane, osservando i loro volti espressivi e i gesti che raccontavano la loro storia.
Una scena particolarmente affascinante era quella dei venditori di arance. Ovunque si vedevano alberi carichi di arance, e i venditori preparavano spremute fresche per i passanti. Era uno spettacolo unico, pieno di vita e colori.
Nel pomeriggio, ci siamo avventurati nella parte alta della città, ammirando Chefchaouen da una prospettiva diversa. La vista era mozzafiato, e ci siamo goduti momenti di relax e tranquillità. Durante il tramonto, siamo tornati verso la piazza, imbattendoci in scene vivaci. Era come se la città si animasse al calare del sole, con suoni, musica e giochi che riempivano l’aria.
Infine, abbiamo condiviso una cena autentica in piazza, terminando in bellezza un’intensa giornata a Chefchaouen. Il giorno successivo sarebbe stato il momento di tornare a Fes, ma quei ricordi vividi e le foto catturate avrebbero sempre occupato un posto speciale nei miei pensieri. Chefchaouen, con la sua magia e autenticità, aveva lasciato un’impronta indelebile nel mio viaggio.
Fes – II parte
Eccomi di nuovo su un autobus, questa volta in direzione opposta, tornando nella prima città di questo viaggio. Avrei trascorso solo una notte lì per spezzare il viaggio, prima di partire alla volta del deserto il giorno successivo. La porta blu di Fes, nel frattempo, era diventata il mio punto di riferimento e sembrava essere il punto di incontro per i taxi che si fermavano per caricare e scaricare passeggeri. Mi reco al Riad di Mohammed e condivido con lui un po’ dell’esperienza a Chefchaouen, mostrandogli alcune foto. Poi mi accompagna al Riad del suo amico, a pochi passi di distanza.
All’arrivo, noto che non c’è nessuno nella struttura. Mi sembra che il proprietario non abbia l’intenzione di trasformare il suo posto in una struttura ricettiva per viaggiatori, ma sembra più una residenza privata, con il proprietario che dorme su un divano all’entrata, circondato da gatti. Mi mostra la mia stanza, mi lascia le chiavi e mi assicura che mi preparerà la colazione nel suo Riad. È incredibilmente gentile, e la sua disponibilità mi colpisce profondamente. Forse anche lui è rimasto colpito da me e dal mio atteggiamento sin dall’inizio, che ha suscitato in lui il desiderio di aiutare il prossimo. Non so, ma si è comportato davvero da signore.
Tornando a Fes in quel caldo pomeriggio, ho deciso di aspettare due miei amici mentre mi godevo un thè alla menta, approfittando della freschezza che la menta mi trasmetteva nonostante fosse servito caldo. In anticipo rispetto all’appuntamento, mi sono fermato in un piccolo locale che avevo notato nei giorni precedenti, ma era così piccolo che ho fatto in fretta a chiedere disponibilità per tre persone per la sera. Per fortuna, c’era posto per noi.
Dopo aver prenotato il posto, la mia attenzione è stata catturata da un asino parcheggiato in un cortile che si affacciava sulla strada. Quello che ho visto in quei pochi minuti mi ha colpito profondamente: era un quadro di povertà. Ho dato qualche euro al ragazzo che mi aveva mostrato l’entrata del cortile, e mi rendevo sempre più conto di quanto il Marocco fosse povero. Tuttavia, la gente sembrava vivere bene, serena, sorridente e spensierata. L’igiene lasciava a desiderare, ma era un tratto comune. Erano solo le quattro del pomeriggio, ma già sentivo il caldo intenso che non avevo sperimentato fino a quel momento in viaggio. Ho deciso di fare una pausa per un po’ di tè e osservare la vita nella strada principale, animata da tante persone.
In quel momento, ho notato un piccolo negozio di riparazioni e vendita di oggettistica con un cartello che indicava “RECYCLING WORKSHOP”. C’era una giovane ragazza con un sorriso accattivante. Mi ha colpito la sua bellezza, con la pelle scura e un velo blu che creava un contrasto affascinante. Il cameriere che mi aveva servito il tè sembrava conoscerla, quindi ho chiesto a lui se potevo scattarle qualche foto. Dopo qualche tentativo, finalmente ho ottenuto un sì. Si chiamava Sabah, come la regione del Borneo, una coincidenza affascinante. Credo che la foto che ho scattato a lei sia stata una delle più belle fino a quel momento.
Quel pomeriggio abbiamo esplorato molti vicoli fuori dall’ordinario, guidati da un GPS un po’ impazzito ma che ci ha portato a vivere esperienze straordinarie. In una delle stradine, abbiamo incontrato un gruppo di ragazzi che giocava a calcio. Non appena ci hanno visti, ci hanno fermato e mi hanno sfidato a calciare un rigore contro il portiere scalzo. È stato un momento emozionante, e abbiamo condiviso qualche passaggio e risate. Prima di cena, sono passato a salutare l’amico “panciuto” che non vedevo da quando ero partito per Chefchaouen.
Gli ho raccontato del mio prossimo viaggio nel deserto. “Inshallah”, ha risposto, che significa “se Dio vuole”. Con un pizzico di tristezza, ho concluso la mia permanenza a Fes, sapendo che ci saremmo divisi, ma con la promessa di rimanere in contatto.
Trasferimento al Sahara
Mi sveglio il mattino successivo con grande eccitazione e motivazione per l’esperienza che mi attendeva nel prosieguo del viaggio. Faccio un rapido controllo nel Riad per assicurarmi di non aver dimenticato nulla. Avevo preparato tutto. Lascio il Riad dell’amico di Mohammed e mi dirigo verso di lui per la colazione. Ci salutiamo con un caloroso abbraccio e lo ringrazio per tutto ciò che ha fatto in quei giorni. Lui ricambia il ringraziamento e mi ribadisce: “Qualsiasi cosa tu abbia bisogno, il mio numero ce l’hai”. È un bel gesto che ti fa sentire sempre il benvenuto ovunque tu vada.
L’appuntamento con il titolare della Tanboosh Travel era fissato per le 7:20 di fronte al suo ufficio, e arrivo con 5 minuti di anticipo. In giro non c’era nessuno, solo gatti e pane. I fornai avevano lasciato il pane davanti ai negozi per le persone che l’avevano ordinato il giorno prima, esposto all’aria e facilmente accessibile a chiunque. Una situazione assurda.
Il titolare arriva e mi fa segno di seguirlo. Mi accompagna alla piazza da cui saremmo partiti con un pullmino da 9 posti. Anche stavolta ho avuto fortuna: essendo arrivato per primo, ho scelto il posto accanto all’autista. La compagnia di viaggio era composta da sette persone in tutto: una coppia di italiani, due ragazze spagnole, un ragazzo austriaco, io e l’autista. L’atmosfera si è subito scaldata, con il mio telefono collegato al bluetooth e tutti noi che cantavamo a squarciagola.
Dopo un’ora di viaggio ci fermiamo per un caffè e facciamo conoscenza. Mi ritrovo a essere il centro delle attenzioni in senso positivo, il “leader” del gruppo, un ruolo che mi viene naturale grazie alla mia esperienza come accompagnatore turistico. In quei momenti si creano legami forti, anche se condividiamo solo poche ore di esperienza. Eravamo tutti lì a condividere un momento di viaggio unico.
Anche l’autista era simpatico, anche se non parlava molto bene l’inglese. Dopo alcuni chilometri, propone di fermarci per vedere i macachi berberi, noti come le bertucce, che abitano le valli del Medio Atlante. Era un’occasione unica per scattare alcune foto naturalistiche, un momento speciale.
Man mano che ci avvicinavamo al Sahara, il paesaggio cambiava colore e la gente assumeva atteggiamenti diversi. Non c’erano più asinelli, ma persone per strada, spesso sdraiate a terra in gruppo.
Eravamo quasi arrivati, mancava solo mezz’ora. Qualcosa mi stava scuotendo, forse i ricordi del viaggio otto anni prima o l’emozione di tornare nello stesso posto con occhi diversi. Chiedo alla guida di chiamare Ibrahim per comunicargli il punto in cui sarebbe venuto a prendermi.
Arriviamo e termina il transfer. Lascio una mancia alla guida e saluto calorosamente Ibrahim, con cui non mi vedevo da otto anni ma che ricordava bene. Saluto anche gli altri ragazzi del pullmino, scambiando i contatti su Instagram. Poi salgo sul fuoristrada di Ibrahim e siamo diretti al suo alloggio.
Nel Sahara
Mi ritrovo a trascorrere i primi due giorni in una maestosa Kasbah, una sorta di cittadella fortificata, gestita da Ibrahim. La struttura comprende stanze all’interno e un campo tendato sotto le dune di sabbia, dove mi stabilisco. Fin da subito sento che resterò lì per un po’ di tempo, desiderando immergermi completamente in questa esperienza e realizzare una foto particolare: un cammelliere sulle dune in controluce, una silhouette. Decido di non andarmene finché non realizzerò questo scatto.
La magia inizia al tramonto, quando il sole inizia a calare e i cammellieri si muovono tra le dune, alcuni pronti per il loro lavoro, altri rientrati senza passeggeri. I colori in questo momento sono intensi e accattivanti. Durante una passeggiata, noto un giovane locale sdraiato sulle dune, immerso nel momento presente. Indossa un turbante e sembra un ragazzo del posto. Mentre lo osservo e scatto alcune foto, si alza e si avvicina timidamente.
Ci scambiamo i saluti, e lui mostra gli oggetti che vende ai viaggiatori durante le passeggiate serali. Mi colpisce un piccolo contenitore di vetro con dei ricami, ideale per portare con sé un po’ di sabbia (anche se non consentito).
Gli chiedo se posso scattargli delle foto in cambio dell’acquisto, ma per me è più importante catturare l’espressione del suo viso. Da quel momento, lo chiamerò “il ragazzo delle dune”, e questa non sarà l’ultima volta che apparirà nel mio viaggio.
La sera cala e il ragazzo se ne va, io approfitto per una passeggiata sulla sabbia, ammirando la bellezza del paesaggio. Torno alla Kasbah e condivido un tè verde con menta preparato da Ibrahim. Conosco il giovane e spensierato staff, tranne una donna brasiliana alla reception che sembra infastidita dalla mia presenza, forse perché sono amico di Ibrahim e non un normale turista.
La prima serata trascorre tranquilla, e durante il mio soggiorno instaura una sorta di amicizia con i ragazzi che lavorano lì.
Uno di loro mi aiuta a curare le ferite ai piedi causate da pietre affilate sulle dune. Nel frattempo, una situazione con un’altra persona, Oussama, si rivela spiacevole. Mi accorgo di un possibile imbroglio riguardo alla scheda telefonica che avevo chiesto di acquistare. Decido di agire in modo strategico e riesco a ottenere ciò che mi spettava.
Il giorno successivo lo dedico al relax e a passeggiate leggere sulle dune, considerando il dolore ai piedi e le ferite recenti. Opto per trascorrere il tempo nel salone della Kasbah, lavorando su contenuti e immagini catturate a Fes e Chefchaouen. Chiedo a Ibrahim se posso organizzare una visita nei villaggi circostanti per scoprire la vita locale attraverso gli occhi di uno dei suoi collaboratori, Houssin.
Nell’anima del Sahara
Mi abituai a svegliarmi alle 6 del mattino per iniziare la giornata fotografica appena la luce sorgeva, catturando i migliori momenti per le immagini. Nonostante il dolore ai piedi, mi diressi verso un campo tendato vicino, dove avevo visto cammelli parcheggiati. Alcuni cammellieri sembravano rientrare nel loro accampamento. Pensai che potesse essere l’occasione per la foto che tanto desideravo: il cammelliere in controluce, senza turisti sui cammelli, solo lui e gli animali.
Mi posizionai davanti al sole, pronto a scattare. Purtroppo, non riuscii nel mio intento, ma catturai comunque le foto. Il cammelliere si fermò vicino all’alloggio di alcuni viaggiatori che aveva appena trasportato. Pensai che, una volta scaricati i passeggeri, avrebbe ripreso i cammelli e si sarebbe diretto a casa per far riposare gli animali. Decisi di avvicinarmi, notando un altro cammelliere sotto l’ombra di una palma. Aveva parcheggiato i suoi due cammelli a dieci metri di distanza. Se si fosse rimesso in marcia, avrei avuto l’opportunità di catturare l’immagine desiderata.
Aspettai pazientemente, cercando di fingere di fotografare le dune. Finalmente, il cammelliere si mosse nella giusta direzione, a soli 5 metri da me. Bastava premere il pulsante di scatto. Tac. La raffica partì. Avevo catturato l’immagine che cercavo. Poco dopo, l’altro cammelliere si mise in movimento, regalandomi un’altra silhouette.
Quella mattina, a colazione, ero così felice e soddisfatto che avevo mangiato quanto per quattro persone. Ma quella giornata doveva riservarmi ancora molte sorprese. Fu allora che incontrai Houssin, un giovane sahariano pieno di vitalità, e gli chiesi di mostrarmi l’anima di quella parte di mondo.
Houssin mi raccontò della mutevolezza delle dune nel deserto, spiegandomi che, nonostante tutto, il deserto trasmetteva una costante sensazione di vastità. Durante il viaggio in jeep, fui catturato da un vortice di sabbia e dai bambini che giocavano scalzi sotto il sole cocente. Nonostante le mie ferite ai piedi, non potevo fare a meno di ammirarli.
Quella giornata si concluse con una notte nel deserto, guidata da un giovane cammelliere. Attraversammo le dune, facendo soste nei punti migliori per scattare fotografie. Quando raggiungemmo il campo nomade, un anziano berbero ci accolse. L’atmosfera era intensa e autentica. Mi affascinò raccontandomi della sua vita nel deserto.
Rientro dal campo nomade, nella kasbah e nell’oasi dei cammellieri
Il mattino seguente non fu come me lo ero immaginato: il poncho che mi aveva coperto durante la notte all’aperto sotto le stelle si rivelò sufficiente anche come coperta. Mentre il cammelliere si preparava per la traversata, mi avvicinai a lui sperando di avvistare qualche animale nel deserto, ma senza successo.
In quel momento, il sahariano uscì dalla tenda, sapendo che era l’ora della partenza. Accennò un saluto e mi ringraziò per aver scelto il suo campo. Notai una bellissima luce e chiesi se potevo scattare un ritratto. Acconsentì e si mise in posa. Quella fu la foto più suggestiva del viaggio, con il suo viso segnato e la veste blu sullo sfondo delle dune.
Durante il ritorno, non avevo voglia di fotografare, volevo solo gustarmi quei momenti unici. Il tramonto dei colori, la situazione con me e il cammelliere nel deserto erano incredibili. Tornato nella Kasbah di Ibrahim, mi abbuffai con crepes al miele, thè verde e caffè.
Nonostante il sole fosse alto, uscii per scattare foto nei dintorni della Kasbah. Nel frattempo, la brasiliana della struttura mi informò che la sera non ci sarebbe stato posto. Ibrahim la rassicurò, permettendomi di restare finché volessi e dormire gratuitamente nel salone.
Rimasi nella hall, lavorando al computer e gustando thè e caffè. Intravidi la brasiliana cercare di segnare i consumi, ma non sapeva che avevo un accordo forfait con Ibrahim. Nel pomeriggio, scattai ritratti per i ragazzi della struttura, creando un bel ricordo insieme.
La giornata trascorse tra il lavoro al PC e conversazioni con i ragazzi. Le ferite ai piedi miglioravano, ma il dolore persisteva. Dopo cena, mi incantai sotto il cielo stellato e mi addormentai su un divano all’aperto.
Mi svegliai verso le due, con i piedi ancora doloranti, e rientrai nella Kasbah per dormire nel mio letto. Nel frattempo, mi scambiavo messaggi con una coppia di Torino che si trovava in un posto eccezionale non lontano da me. Decidemmo di visitare insieme il mercato il giorno seguente, un luogo famoso per le fotografie. Ero grato per la fortuna di fare ciò che amavo e sapevo che dovevo perseverare. Una stella cadente nel buio del deserto sembrava confermare che ero sulla giusta strada. E così, dopo quella giornata intensa, mi addormentai, pronto per affrontare nuove avventure.
Il pozzo del cammelliere e il mercato di Rissani
Il mattino seguente, Ibrahim mi informa che saremmo partiti per Rissani solo più tardi, così decido di dedicare il tempo alla musica che mi aveva consigliato Houssin. Mi avvolgo con le cuffie e inizio a camminare lungo la strada fuori dalla Kasbah, un tratto solitario, percorsa solo dagli ospiti e dai cammellieri.
Un incontro inaspettato mi sorprende: vedo un uomo che attinge acqua da un pozzo per i suoi dromedari. Ricordo di averlo fotografato qualche giorno prima all’alba sulle dune, un cammelliere che offre esperienze nomadi nel deserto. Era un momento speciale, come molti incontri casuali del viaggio.
Dopo le 11, Ibrahim mi fa segno di partire verso Rissani. Lì, mi immergo nel caos del mercato, dove gli asini dominano come mezzi di trasporto principali. Attraverso vicoli e strade affollate, osservo scenari unici: contadini con animali, ragazzi con tacchini, una realtà che sembrava estratta da un film.
Successivamente, accompagnato da Ibrahim, entro in un bar gestito da un suo amico, Moustapha, ma la sua insistenza e le proposte non mi convincono completamente. Chiedo aiuto a un amico di Moustapha che fungeva da guida, ma si dimostra poco attento. Decido di proseguire da solo e catturare con la macchina fotografica scene che trasmettevano libertà e semplicità, in particolare uomini su asini.
Nonostante i piedi doloranti, torno al bar di Moustapha e, osservando il via vai di gente e animali, mi rendo conto di quanto sia affascinante quel mercato. Successivamente, ricordo di dover acquistare un caricabatterie per il telefono. Alla fine, constato che il prezzo era stato gonfiato per gli stranieri, una situazione che cominciava a stancarmi.
Rientrato nella Kasbah, mi rinfresco in piscina e dedico il pomeriggio alla selezione e modifica delle foto. In serata, Moustapha ci fa visita e chiacchieriamo sorseggiando thè alla menta e fumando il narghilè.
Mi chiede quali fossero i miei piani dopo Merzouga, anticipando un’offerta di alloggio nel suo ristorante con camere in affitto. Sebbene fosse un’opportunità, preferivo ancora godermi il deserto e le sue sorprese. Con stanchezza e sonno che si facevano sentire, mi congedo e vado a dormire, pronto per affrontare nuove avventure nel deserto il giorno successivo.
Ultimo giorno nel Sahara
Mi risveglio all’alba senza dolore ai piedi, godendo di quel sollievo. Dopo la colazione, decido di rilassarmi in camera ascoltando musica prima di uscire nel tardo pomeriggio per svolgere alcune commissioni nel centro di Merzouga.
Mi accompagna un ospite argentino con l’auto. Nel centro, noto l’abbondanza di negozi che offrono noleggio quad per le dune, un aspetto turistico che mi dispiace. Poi, inizio una camminata solitaria di circa 6 km verso la Kasbah, incontrando scenari incantevoli.
Nell’oasi degli allevatori, trovo una scena di cammellieri riposanti all’ombra, una visione che rappresenta semplicità e vita nel deserto. Lungo il percorso, rifletto su nuove avventure fotografiche che potrei intraprendere in futuro.
Nell’attraversare il deserto, scatto foto della mia ombra sulle dune e incontro il ragazzo delle dune che osserva il deserto con un’aria contemplativa. Ci scambiamo qualche parola e scatto alcune foto, sapendo che sarei partito il giorno successivo, diretto a Rissani.
La mattina seguente, effettuo il check-out e, sorprendendo la brasiliana, pago solo cinque notti, inclusi pasti e bevande, grazie all’accordo con Ibrahim. Lascio una mancia ai ragazzi della struttura in segno di gratitudine.
Mi congedo dall’oasi del Sahara, promettendo di tornare, e saluto Ibrahim con un caloroso abbraccio. È stata una settimana intensa e indimenticabile, ricca di emozioni e momenti unici che solo quel luogo può regalare. Prima di partire, lascio un piccolo gesto di apprezzamento per il servizio offerto dai ragazzi, consapevole dell’importanza di mostrare gratitudine per l’ospitalità ricevuta.
Rissani
La mia esperienza con Moustaphà, un individuo che mi ha fatto conoscere una parte della vita marocchina che preferirei dimenticare. Moustaphà non mi è mai piaciuto. Era quel tipo di persona approfittatrice che avrebbe fatto di tutto pur di spillarmi soldi, ma dopo quasi 15 anni di viaggi solitari, ho imparato a riconoscere subito chi si presenta davanti a me. Quando si tratta di essere furbi, non mi tiro indietro.
Arrivo da lui in tarda mattinata e mi fa prendere un caffè nel suo bar, senza offrirlo, avendo già segnato il prezzo. Mi fa aspettare perché le camere non erano ancora pronte. Rissani non è esattamente un posto vivace nei giorni normali, ma avevo deciso di andare da lui, anche se già mi pentivo di questa scelta. Ma fa parte del viaggio.
Ero nel piano superiore al bar, ordinando il pranzo e lavorando al mio computer, cercando di gestire il lavoro che si accumulava giorno dopo giorno.
Vedevo Moustaphà che cercava di attirare gente nel suo bar, ma nessuno sembrava interessato alle sue offerte. Quando finalmente la mia camera era pronta, chiedo un ventilatore a causa del caldo opprimente in Nord Africa.
Dopo aver sistemato tutto, prendo la macchina fotografica pronta per uscire, ma Moustaphà continua a cercare di farmi acquistare varie cose, cercando di ottenere commissioni su ciò che avrei comprato. La conferma che voleva solo approfittarsi di me viene quando mi dice che avrebbe gestito il mio viaggio in bus e avrei dovuto pagare tutto a lui. Decido di organizzarmi da solo.
Trovo un ufficio dei bus e prenoto il mio biglietto per Ouarzazate per due giorni dopo. Mentre aspetto, mi fermo in un bar per un caffè, un tè alla menta e una bottiglia d’acqua, osservando i prezzi per essere informato quando Moustaphà mi avrebbe fatto il conto.
Torno da lui nel pomeriggio e mi chiede se voglio andare in un centro benessere per massaggi e bagno turco. Accetto e lui subito mi dice che dovrò pagare tutto a lui quando partirò. Capisco la sua mossa e decido di ignorarla.
Torno in camera, cercando di evitare Moustaphà, ma alla fine lo incontro fuori dalla mia stanza. Ci fermiamo a parlare e mi chiede cosa voglio per cena. Decido di andare altrove per salutare i ragazzi con cui avevo pranzato.
Il giorno successivo è giorno di mercato. Mentre esploro il mercato, trovo scatti interessanti, cercando di catturare l’autenticità di Rissani. Fotografo anche un ragazzo che trasporta un tacchino e un uomo che distribuisce acqua ai bisognosi usando una sorta di zampogna.
Decido di salutare il negoziante che mi aveva venduto una collana il giorno prima. Incontriamo anche un ragazzino muto che mi guida sul tetto da cui riesco a fotografare una civetta. Alla fine, gli do una piccola mancia per l’aiuto prezioso.
Il giorno dopo, mentre ero sul bus, Moustaphà cerca di chiamarmi ma rispondo con un messaggio, evitando di parlare con lui. Questa è stata l’ultima volta che l’ho visto.
Il mio viaggio a Rissani è stato un’esperienza interessante, nonostante il fastidio causato da Moustaphà. Mi ha insegnato a essere più vigile e a non lasciarmi sfruttare facilmente. Ora posso dire di aver imparato una lezione preziosa su come navigare attraverso le insidie dei viaggi, cercando di godermi ogni esperienza nonostante i piccoli ostacoli lungo il cammino.
Conclusioni
Dopo Rissani ero stato qualche giorno tra Ouarzazate ed Ait Ben Haddou (il luogo dove sono state girate le scene del film “Il gladiatore” quando combatte nell’arena insieme agli schiavi).
Gli ultimi giorni non li avevo dedicati alla fotografia. Ero stanco ed erano quasi venti giorni che ero in viaggio ed avevo scattato quasi 3000 fotografie e mi ritenevo soddisfatto del lavoro e sentivo che tutto quello che avrei potuto fare l’ho fatto e l’ho fatto nel migliore dei modi.
Uno scatto di questo viaggio a pochi mesi di distanza si piazzerà al secondo posto in un concorso internazionale di fotografia ed è lo scatto del cammelliere in controluce fotografato sulle dune nei giorni che ero da Ibrahim.
Vorrei dire grazie al mondo intero per questa avventura, ai miei amici che mi supportano, ai miei genitori che sin da piccolo mi hanno sempre dato tutta la libertà del mondo e a tutti quelli che in qualche maniera hanno contribuito alla realizzazione di questa avventura.