Oltre ad essere un paese affascinante di suo, il Costa Rica è stato per me il viaggio che mi ha aperto le porte, che mi ha illuminato la via dopo diversi anni di buio totale e confusione, di depressione. E’ stato il viaggio del riscatto da alcune situazioni che mi portavo dentro e che ormai era il momento di lasciare andare. Erano ben tre anni che non prendevo un aereo e per uno come me che è abituato a vivere in viaggio è stato qualcosa di veramente strano.
Era il Novembre del 2018 ed avevo 30 anni, reduce da una lunghissima esperienza in Australia dove ho vissuto per quasi 5 anni, per poi lasciarla definitivamente per dedicarmi ai primi viaggi in solitaria con lo zaino sulle spalle ed una semplice macchina fotografica compatta.
La decisione di partire l’avevo presa a Giugno quando lavoravo ancora in una pizzeria di Pescara, così comprai subito il biglietto aereo e simultaneamente la mia prima reflex, una Nikon.
Non contento però ne acquistai anche un’altra, sempre Nikon ma dalle diverse caratteristiche tecniche, più adatta al mio tipo di lavoro, più veloce. Adesso avevo un’attrezzatura discreta, cosa che non avevo mai avuto prima, un biglietto aereo e tanta voglia di iniziare il mio percorso di Wildlife Photographer.
La partenza
Atterrato all’aeroporto di San Josè, mi viene a prendere una ragazza che avevo tra i contatti di facebook (Raquel) che qualche settimana prima mi aveva risposto ad un post in cui pubblicavo la mia partenza. Si era offerta di venirmi a prendere e così fece, insieme al fratello.
Mi accompagnarono nell’ostello che avevo prenotato, in pieno centro e ci accordammo per un’escursione assieme per il giorno seguente.
Parque Nacional de Carara e Rio Tarcoles
La mattina seguente feci colazione in ostello con Kiko che di lì a poco sarebbe andato a prendere una sua amica spagnola, Adriana, ed intanto ecco uno scoiattolo che saltava sugli alberi di fronte a noi.
Nel frattempo l’appuntamento con Raquel era di fronte il McDonald’s della piazza principale della città alle 10, da cui poi avremmo preso un autobus che ci avrebbe portato al Parco Nazionale del Carara, un parco piccolissimo nella regione del Puntarenas a pochissimi km di distanza dal famoso ponte dei coccodrilli di Rio Tarcoles.
Non appena arrivammo al parcheggio del Parque Nacional de Carara subito mi si presentò l’occasione per catturare le prime immagini (ancor prima di entrare nel parco). Lì gironzolavano iguane ed una specie di roditore il cui nome in spagnolo era “guatusa”. Il parco ospitava molte specie animali tra cui pappagalli, tucani, scimmie, colibrì, rane velenose e soprattutto essendo vicino al fiume dei coccodrilli, era indicata la presenza dei rettili nel loro habitat.
Le prime strabilianti fotografie non si fanno attendere, difatti incontro subito due piccole specie di rane velenose (la rena freccia neroverde e la rana pigmea) che sono conosciute come “rane da veleno per le frecce” in quanto in passato gli indigeni impregnavano le frecce di questo veleno prima di scagliarle.
Sono anfibi piccoli quanto una falange umana e la rana pigmea ha la caratteristica bizzarra di accoppiarsi col primo maschio che incontra.
Per gli anfibi di questa stazza avevo acquistando poco prima della partenza un obiettivo macro di marca Sigma (il sigma 105mm macro F2.8 che in seguito mi svolterà il viaggio).
Dopo un paio d’ore di escursioni nel parco avevo diverse foto di rane, un basilisco verde (famoso per la sua unica ed inspiegabile abilità del correre sulla superficie dell’acqua guadagnandosi il nome di Jesus Christ Lizzard) ma soprattutto riesco a fotografare la maestosa Ara Scarlatta depennando così il primo obiettivo dalla lista. Questo pappagallo è di una bellezza incredibile, ricco di colori e di una stazza non indifferente poiché raggiunge il metro di altezza. Quell’immagine sarà poi una delle più vendute nelle mostre fotografiche.
L’ingresso del Carara dista dal ponte di Rio Tarcoles qualcosa come 2-3 km così decidiamo di avventurarci a piedi ai margini dell’autostrada (la carretera nacional pacifica).
Era la prima settimana di Novembre ed anche se stava quasi per iniziare la bella stagione, non era difficile beccare qualche temporale ed infatti……. Percorremmo quella mezz’oretta di cammino sotto un acquazzone tropicale impossibile.
Arriviamo al ponte e grazie a Dio smette di piovere. Avevamo sotto i nostri occhi decine e decine di esemplari di coccodrillo americano, distesi sulle rive del fiume Tarcoles.
Successivamente io e Raquel prendemmo un autobus che ci avrebbe lasciato ad Orotina da cui poi saremmo saliti sull’ennesimo bus direzione San Josè. Per farvela breve abbiamo impiegato 3 ore e mezza per tornare in città e realizzai quanto difficile potesse essere spostarsi in Costa Rica.
Conclusi la giornata avendo ottimi lavori fotografici ma in cambio dovetti affrontare una sfacchinata senza precedenti e non appena tornai nell’ostello sprofondai soddisfattissimo nel mio letto , felice dei risultati fotografici ottenuti che per me erano un sogno che si realizzava.
Centro di San Jose’ e trasferimento a “La Fortuna”
La mattina seguente mi svegliai presto, forse erano le 5.
Avevo in soli due giorni cambiato il mio ritmo sonno/veglia o forse mi ero preparato psicologicamente al fatto di dover stare agli orari della fauna che in genere è più attiva nelle prime ore della giornata.
Colazione col mio scoiattolo che ormai era diventato mio amico, sistemo i vestiti nello zaino e lascio l’ostello.
Mi recai in stazione per acquistare il biglietto del bus che da San Josè mi avrebbe portato al parco nazionale del Vulcano Arenal.
Sceso alla fermata de La Fortuna percorro un centinaio di metri seguendo una coppia di ragazzi che avevano tutta l’aria di essere dei viaggiatori come ed ero sicuro avrebbero alloggiato anche loro in un ostello. Non ero informato sugli alloggi della località, ma comunque parliamo di una cittadina piccola e molto turistica, insomma non era difficile trovare alloggio.
I miei occhi cadono su di un’insegna, Celina Hostel. Vado, chiedo disponibilità alla reception e prenoto un posto letto per due notti poi nel caso se avessi deciso di trattenermi di più, avrei comunque potuto prolungare il soggiorno.
Torno in reception e chiedo ad uno dei ragazzi lì se potessero conoscere delle zone nei dintorni dove si potessero incontrare animali tipici del Costa Rica: “Abbiamo un gruppo che parte tra venti minuti per i sentieri intorno al vulcano e lì si vedono un sacco di cose, ti vuoi aggregare?” “Certo”, risposi. D’altronde non conoscevo nulla della zona ed ogni azione sarebbe stata utile, in Costa Rica gli animali li trovi veramente dappertutto.
Vengono a prenderci con un pullmino davanti l’ostello ed eravamo un gruppetto di una decina di persone, tutti europei.
Arrivati all’entrata del parco, compio l’errore fotografico più grande della mia vita mandando all’aria un’immagine che sarebbe stata bellissima. C’era un tucano carenato poggiato sul tronco di un albero che stava entrando nella tana ma era rimasto con la testa verso l’esterno e mentre cercavo di fotografarlo vedevo che non riuscivo a mettere a fuoco.
Il mio primo pensiero fu che forse la macchinetta o l’obiettivo avessero preso troppa acqua il giorno precedente poi invece mi sono accorto che per errore avevo spostato la messa a fuoco da automatica a manuale giocandomi così una foto veramente magnifica.
(Io non lo sapevo ancora, ma quel tour, quel giorno, in quella maniera così casuale, mi avrebbe fatto fare un bel balzo in avanti nella mia carriera di wildlife photography).
La guida ci indicava i nomi di molte piante e fiori del posto ma sinceramente non lo ascoltavo troppo ma non perché non mi interessava, anzi, ma perché ero troppo preso dal posto e cercavo a tutti i costi fauna da fotografare. Pochi minuti dopo infatti, scattai un bellissimo ritratto ad un colibrì verde.
La svolta però arriva all’imbrunire: c’era una pozza d’acqua con un cartello che indicava la presenza di anfibi tra cui la raganella dagli occhi rossi così iniziai a cercare. Ne vidi una, distesa su di una foglia grande che però dormiva ancora (le raganelle sono animali notturni ed iniziano ad aprire gli occhi soltanto al crepuscolo), così di decisi di aspettare. Avevo timore che si facesse buio e che non avrei più avuto luce a disposizione e che la guida ci avrebbe detto detto di dover ripartire poiché eravamo anche alla fine dell’escursione.
Dopo esattamente 10 minuti eccola che si sveglia. Avevo fotografato la raganella dagli occhi rossi, uno dei simboli del paese ed il secondo mio target personale del viaggio (questa foto diventerà molto famosa in futuro ed intanto dentro me ringrazio il momento in cui decisi di investire in un obiettivo macro. Questo scatto sarà pubblicato da National Geographic un paio di mesi dopo, esattamente il giorno del mio compleanno ed anzi, c’è da dire qualcos’altro su questo animale; ho un tatuaggio fatto in Australia 6 anni prima che ritrae proprio la raganella e quasi nella stessa posizione ed il fatto che fu pubblicata su National Geographic, il giorno del mio compleanno lo interpretai in un solo modo: ero sulla mia strada. Da allora non ho avuto più dubbi).
La Fortuna (Ecocentro Danaus)
Avevo trovato, quando ancora ero in Italia, un posticino che mi era sembrato molto particolare.
Si chiamava Ecocentro Danaus. Era un terreno in cui anni addietro sorgeva una fattoria caduta poi in disuso e lasciata abbandonata. Pian piano la vegetazione inizia a crescere rigogliosa così lo hanno reso un’area chiusa, naturale ma chiusa. Come se fosse un boschetto di giungla recintato con due corsi d’acqua, un paio di laghetti e un’infinità di alberi con due sentieri.
All’alba ero già lì, avevo camminato circa per 4km dall’ostello. Non che il taxi era dispendioso, ma mi ero svegliato veramente presto e la camminata è stata un ottimo ammazza-tempo.
La prima cosa che mi saltò all’occhio fu un bellissimo esemplare di “farfalla occhio di gufo”.
E’ una farfalla molto grande, quasi come un palmo di uomo adulto e dai colori molto sgargianti.
Poche decine di metri più avanti intravedo un rettile dal colore verde. Era un basilisco, come quello che avevo incontrato qualche giorno prima al Carara National Park, ma questa volta era più vicino e tentava di mimetizzarsi con la vegetazione circostante. Questo fenomeno è conosciuto come “criptismo” ovvero la capacità che hanno gli animali di confondersi con l’ambiente circostante (vedi foto).
Sopra la mia testa volavano uccelli di ogni tipo e colore ma che non riuscivo a fotografare bene in volo così mi sono limitato a gustare la scena che comunque era bellissima.
Soddisfatto della mattinata decido di terminare la mia attività. Chiamo un taxi e torno nel centro cittadino e prima di andare in ostello faccio qualche passo a piedi cercando un bar (mi era venuta voglia di caffè). D’un tratto i miei occhi videro un uccello, che era posato su di una staccionata di una finca, mi avvicinai pian piano e notai che comunque non fuggiva quindi sicuramente era abituato alla presenza umana. Arrivai a circa 5 metri da lui ma rimase lì: si fa fotografare senza problemi. Era un avvoltoio, un avvoltoio collo nero.
Dopo questo bellissimi incontro, decisi di andare a pranzo in un locale nei dintorni, e successivamente mi recai nello “Sloth Park” (sloth sta per bradipo in inglese, forse deriva da slow, non so). Il parco altro non era che una zona anch’essa recintata dove vivevano diversi bradipi e per rifilare qualche soldo ai turisti.
Devo dire che non è stato poi difficile avvistarli, anzi, ho visto il primo subito dopo essere entrato. Fortuna che si trovava su di una pianta abbastanza bassa da potermi permettere di scattare foto ravvicinate. Li ho trovati buffi esattamente come me li aspettavo, di una lentezza veramente inaudita (sono così lenti che sul loro manto di peli crescono spesso muschio e licheni).
Comunque, in soli pochi giorni avevo depennato dalla mia lista 3 animali: il bradipo, la raganella e l’ara scarlatta. Non male, per essere il mio primissimo viaggio fotografico in solitaria dedicato esclusivamente alla wildlife.
Ecocentro Danaus (Parco Nazionale dell’Arenal)
Nuovo giorno, nuova tappa: quella mattina pioveva a dirotto, ma era ancora presto e in certe zone tropicali il tempo cambia da un momento all’altro per cui la cosa non mi turbava minimamente, mi sarebbero bastate anche poche ore di sole per fare qualche altra foto. Avevo ancora molti giorni di viaggio e avevo già fatto tantissime foto soddisfacenti.
Torno al Danaus chiamando un taxi usando la piattaforma Uber (pagai pochissimo) e mi feci lasciare il contatto del driver.
Sono entrato nell’ecocentro Danaus alle 9 di mattina e sono uscito di lì a mezzanotte. Un’intera giornata a vagare tra i sentieri della ex finca e anche quel giorno moltissime sorprese.
Oltre al fatto che partecipai all’escursione notturna del centro, il pomeriggio avevo fatto conoscenza con una ragazza che lavorava lì e durante la sua ora di pausa mi dice di andar con lei a fare un giro nel lato opposto dove spesso in quelle ore centrali della giornata si vedeva spesso il tucano. Giusto il tempo di arrivare alla fine del sentiero e vediamo prima il “tucano beccocastano” (chestnut toucan) e poi anche l’altro , quello che mi era sfuggito il primo giorno per la mia ingenuità, il tucano carenato (keel – billed toucan).
Questa volta avevo controllato tutte le impostazioni della fotocamera prima di recarmi sul posto così da non ripetere l’errore.
L’uscita serale anche si rivelò molto proficua. Eravamo in tanti ma ero io l’unico fotografo. Gli altri erano per la maggior parte visitatori curiosi di incontrare la fauna del posto visibile solo di notte.
Ci imbattemmo in vari anfibi, rettili, insetti, un serpente velenoso e quel baby caimano che avevo visto di sfuggita il primo giorno che si era avvicinato alla sponda in cerca di prede da cacciare.
Anche quella fu una bellissima giornata, ricca di bei momenti molto emozionanti.
Chiamai il mio tassista e mi feci accompagnare in ostello.
La catarata del Rio Fortuna e trasferimento verso il Guanacaste
Sveglia prestissimo come sempre. Ormai la sera arrivata una certa ora crollavo come non mai.
Preparo bene lo zaino in vista del trasferimento con Kiko e Adriana che intanto mi avvisarono sarebbero arrivati a La Fortuna dopo pranzo.
La catarata del Rio Fortuna, con il suo salto di 70 metri si aggiudica il primato per la cascata più alta del paese. Dal belvedere si può scorgere una minuscola lingua d’acqua che si nel bel mezzo della foresta si getta a picco nella giungla profonda. “Che spettacolo”, pensai. “Neanche in Australia avevo mai visto una roba simile”.
Il sentiero era ben tenuto, adatto a tutti ed organizzato con scalinate e appoggi laddove la strada si faceva leggermente più difficile.
Poco prima di arrivare a livello del fiume, vedevo davanti a me la cascata ma la vedevo apparire come una luce in fondo ad un tunnel. Il getto dell’acqua si mostrava davanti ai miei occhi solo attraverso la fitta giungla tropicale, uno spettacolo. “Strano che a nessuno viene in mente di fare una foto simile”, pensai tra me e me. Eppure c’era un bel po’ di gente.
Scendo e mi godo uno degli spettacoli della natura più belli che abbia mai visto, into the wild completamente.
Torno in centro città ed arriva Kiko con Adriana. Pranziamo assieme in un locale e prima di dirigerci verso il Guanacaste ci fermammo a fare un po’ di spesa.
Spesa fatta, si può partire. Direzione “Vulcano Tenorio e Rio Celeste”.
Durante il tragitto c’era un bellissimo sole ma arrivato sul posto pioveva come non mai. Così prenotiamo una struttura e passiamo la notte.
Arrivo nel Guanacaste e Playa del Coco
La mattina il meteo era esattamente come l’avevamo lasciato la sera precedente ma non si sa perché in certe situazioni tropicali, essendo la pioggia un elemento intrinseco ad esse, il solo suono ti fa immergere completamente nel paese che stai visitando.
Partiamo con destinazione Guanacaste, una delle 7 regioni del Costa Rica che si trova sulla Costa Pacifica, una grande penisola caratterizzata da numerosissime spiagge e giungle al suo interno.
Prima però, dato che stava uscendo il sole e la temperatura saliva pian piano, decidiamo di fare tappa in un posto che Adriana aveva trovato sfogliando qualche libro. Era una cascata nel bel mezzo della giungla tropicale, tra la regione Alajuela e il Guanacaste.
La cascata era poco conosciuta ed un po’ lontana dai percorsi turistici, forse perché era un po’ fuori mano ma comunque, come tante altre parti del Costa Rica si rivelò essere una meraviglia della natura. Una pozza poco profonda nel cuore della foresta tropicale che sembrava di stare in un cartone della disney.
Ci siamo presi il nostro tempo poiché la costa pacifica non distava chissà quanto ed oltre a trovare un alloggio e qualcosa da mangiare non avevamo chissà quali altre cose da fare. Io mi ero letteralmente addormentato su di un tronco di un albero caduto, con la cascata al mio fianco il cui suono conciliava perfettamente il sonno. Fu uno dei momenti più della mia vita. Ero spensierato ed avevo come la sensazione che la vita mi fosse favorevole qualunque decisione io abbia preso. Mi sentivo come accompagnato da qualche forza misteriosa sconosciuta che mi dava un forte senso di fiducia e che mi avrebbe sempre portato fortuna.
Ci dirigiamo verso la macchina ma prima di partire ci gustiamo un naturalissimo succo di cocco appena raccolto e servitoci da un altro tizio lì vicino il parcheggio. “Quanto erano efficaci” pensai, avevano pensato a tutti i bisogni di un viaggiatore in quelle ore calde della giornata.
Raggiungiamo la costa pacifica prenotando una struttura fronte spiaggia, Playa del Coco. C’erano tutte palme, amache e una piscina. Lasciamo nelle camere le cose non necessari e andiamo a visitare la spiaggia che in confronto a tante altre della zona, era abbastanza grande.
Lì c’era un venditore di frutta con cui scambiammo due chiacchiere ci informò del fatto che a qualche km di distanza c’era una spiaggetta poco frequentata e assai particolare, sperduta tra la foresta. L’unica cosa è che avremmo dovuto parcheggiare e camminare circa 15 minuti.
Decidiamo di andare. La spiaggia si chiamava Playa Penca e prima di scendere trovammo un punto panoramico bellissimo dal quale c’era una vista immensa, sconfinata. Facciamo qualche foto e scendiamo in spiaggia dove dopo neanche 5 minuti, ci fecero visita una famiglia di scimmie urlatrici dalle quali però ci tenevamo a distanza poiché il maschio capobranco sembrava fosse molto infastidito dalla nostra presenza.
Prima di risalire in macchina sentiamo della musica leggera provenire da una duna di terra poco distante dal nostro mezzo. Incuriositi, scavalchiamo la duna e ci troviamo davanti a noi un tramonto spettacolare che abbracciava tutta la Playa del Coco.
Ero lì, con dei perfetti sconosciuti (ormai amici) a godermi uno dei tramonti più impossibili della mia vita. Io non lo sapevo, ma quella foto che scattai risulterà essere molto richiesta in futuro.
Trascorriamo lì la serata mangiando quel che c’era rimasto dall’ultima spesa fatta.
Si concluse una delle più belle giornate del viaggio, con posti magnifici ed impensabili. Ero felice di come stava andando il viaggio che neanche con una programmazione dettagliata sarebbe andato in quel modo.
Le spiagge del Pacifico
Dopo un’abbondante colazione in compagnia di colibrì e procioni e qualche dondolata sull’amaca, prendiamo il nostro fuoristrada per fare il giro delle spiagge più iconiche della penisola: quello è stato l’unico giorno in cui non ho scattato fotografie ma avevo solo voglia di godermi il luogo, il sole, il mare e la natura incontaminata. Abbiamo fatto toccata e fuga di diverse spiaggette e calette, come Playa Hermosa, Playa Conchal e Playa Blanca.
E’ stata una giornata all’insegna del relax.
Verso sera ci dirigiamo verso il Sud della penisola di Nicoya per prepararci allo spettacolo che ci avrebbe atteso il giorno seguente (Kiko e Adriana non erano informati a riguardo, ma io si e diciamo che la vera missione di quel viaggio era proprio l’assistere ad una delle scene naturali più belle al mondo: la schiusa delle uova di tartaruga marina e la corsa verso il mare).
Troviamo un alloggio a Nosara, una cittadina un po’ più internata rispetto al luogo delle tartarughe marine e il tempo richiesto per raggiungere la spiaggia era di circa 35 minuti in auto.
Ceniamo nella nuova struttura e ci godiamo la serata tra noi accompagnati dal suono della pioggia.
Playa Ostional e le tartarughe marine
Sveglia super presto. Alle 4:30 eravamo in piedi, ma solo io e Kiko. Adriana era stanca ed è rimasta a letto. Prendiamo la macchina e ci dirigiamo verso Playa Ostional.
Questa spiaggia che si affaccia sul pacifico gode di una reputazione unica al mondo per un fenomeno che si manifesta solo e soltanto in questa spiaggia in tutto il mondo: la specie di tartaruga marina più piccola al mondo nidifica solo in questo posto in tutto il mondo.
Stiamo parlando della tartaruga marina olivacea (Olive Ridley Turtle).
Appena arrivati in spiaggia ci troviamo davanti ad uno degli spettacoli che sembrava di stare davanti ad un documentario di National Geographic.
La prima cosa a cui facciamo caso è la quantità abnorme di gusci rotti sulla spiaggia ma che in realtà non erano gusci schiusi dalle piccole tartarughe, bensi rotti dagli uccelli. C’erano una marea infinita di uccelli approfittatori a banchettare tra le varie covate.
Mi girai verso una palma lì di fianco e sullo stessa pianta c’erano 5 avvoltoi, un falco ed un altro uccello spazzino delle dimensioni di un’aquila, tutti ad attendere il loro turno.
Non sapevamo se gioire dello spettacolo della nascita o esser tristi per le scene di cui eravamo protagonisti ma la cosa più incredibile è che c’era anche un cane randagio ad approfittare della situazione: quanti predatori sono lì in attesa di nascite per poter approfittare di questo boccone facile.
Ho fatto il possibile, insieme a Kiko, per difendere quanti più nidi possibili, accompagnando le piccole tartarughine nel loro percorso verso l’Oceano, ma in ogni caso non si può ostacolare il corso della natura.
Bellissima esperienza, toccante.
Dal Guanacaste al Puntarenas
Un’altra giornata mista, tra relax in spiaggia e escursioni nelle giungle.
Prenotammo un traghetto che sarebbe partito da Montezuma e che ci avrebbe portato nel Puntarenas. Nei dintorni di quella zona della penisola, oltre a Montezuma, c’erano varie spiagge di cui una molto particolare che brulicava di una specie di granchio un po’ strano dall’accesa colorazione arancione e con gli occhi staccati dal corpo.
Ricordo bene quella mattinata per una ragione molto semplice: quello scatto mi costò un ustione di spalle ahahah. I granchi erano molto sensibili alle vibrazioni del suolo ed infatti già quando mi trovavo a pochi metri da loro, con una velocità supersonica si nascondevano nelle buche della sabbia che loro stessi avevano creato come tana.
Ne avevo puntano uno a caso (ce n’erano tanti) che nel frattempo si era nascosto sotto la sabbia. Mi ero posizionato rasoterra e col braccio in tensione che manteneva la macchinetta che seppur non aveva un obiettivo così pesante, la posizione che stavo mantenendo rendeva tutto molto difficile ma mi ero messo in una posizione tale che se fosse uscito, anche solo per un secondo, avrei scattato una foto poetica.
Passano 10 minuti… Ero ancora lì, in tiro e sotto il sole cocente delle 14 in una spiaggia del pacifico ad attendere uno stupidissimo granchio (che cos’è la wildlife photography eh?).
Eccolo….tac…..raffica di foto effettuata! 15 foto in un paio di secondi (la mia nikon D500 era soprannominata la mitraglietta, appunto per questa ragione e credetemi, non perdonava mica).
Anche questa alla fine sarà una foto molto apprezzata di questo viaggio. Un soggetto molto particolare e raramente visto in foto così da vicino. Mi stavo rendendo conto che quel viaggio mi stava regalando fortissime emozioni, sia in ambito fotografico e sia per il viaggio in sé, per come si stava svolgendo.
Dalla spiaggia ci siamo addentrati io e Kiko dentro una riserva, la riserva di Cabo Blanco che ridava sul mare ed era come tante altre foreste tropicali di quella zona, molto fitte e molto contenute.
Veniamo subito sorpresi da un branco di scimmie urlatrici (come quelle di Playa Penca) che infastidite ci urinarono addosso da sopra i rami degli alberi ed una in particolare sembrava al quanto incazzata. Allunghiamo il passo, ce le lasciamo alle spalle fino a scorgere un altro primato da lontano. Mi avvicino e noto una cosa: era lei…la scimmia cappuccina, un altro target di quella mia famosa lista, uno di quelli che mancava.
La luce era pesante a quell’ora della giornata e nonostante la distanza era molto ravvicinata, la foto non era niente di che. Però, l’avevo fotografata.
Ora avevo completato la mia lista. Avevo tutto.
Successivamente io e Kiko ci imbarchiamo di nuovo sul traghetto per arrivare sull’altra sponda del golfo. Direzione Esterillos che è una piccola cittadina sul pacifico, a due passi dalla spiaggia e soprattutto non troppo lontana dal Manuel Antonio National Park, il parco più famoso del paese.
Passammo la notte in ostello, preparandoci per l’avventura che ci aspettava il giorno dopo.
Parque Nacional Manuel Antonio
Ci svegliamo ed eravamo in spiaggia, dopo la classica abbondante colazione dell’ostello.
Facciamo un giretto nella spiaggia, che era molto tranquilla e selvaggia. Sopra le nostre teste gli alberi brulicavano di scoiattoli, dal manto arancione acceso che sembravano essere in una fase di corteggiamento. Ci siam gustati la scena ed io ho scattato qualche fotografia.
Dopo pranzo partiamo e raggiungiamo il parco Manuel Antonio.
Come servizio guida scegliamo una ragazza giovane il cui nome era Leslie. Sembrava molto preparata ed affidabile ed aveva con sé un cannocchiale gigantesco sostenuto da un pesantissimo treppiede.
Il parco, già dall’entrata, brulicava di scimmie cappuccine che lottavano tra di loro in maniera molto furiosa ed aggressiva (sono molto rinomate per non essere di carattere particolarmente docile).
Tra le tante foto scattate al primato, ce n’è stata una di cui anch’io mi son meravigliato: ne vidi una poggiata sul tronco di un albero e la cui espressione somigliava tantissimo a quella di un bimbo curioso che si domanda cosa stesse accadendo intorno.
Il parco non è poi così grande ma ha di particolare che è proprio sul mare e tra la rigogliosa vegetazione vi è presente una spiaggia che decidiamo di visitare, molto frequentata e molto conosciuta per il colore della sabbia e l’acqua in contrasto col verde della vegetazione circostante.
Dopo la sosta in spiaggia percorriamo un sentiero dove il giorno prima (ci mostra Leslie dal suo telefono) c’era un boa che aveva predato un basilisco verde e lei aveva fatto una foto in cui si vedeva il serpente ingerire la preda. Fortunata lei.
A noi invece capita un’altra sorpresa: un bellissimo esemplare di bradipo e questa volta non ce l’avevo molto vicino. La foto che scatto è una bellissima foto con il soggetto ambientato.
Dopo pranzo, rientrammo di nuovo nel parco nazionale per il pomeriggio giacchè il biglietto pagato poteva essere utilizzato nell’arco dell’intera giornata.
Oltre alle numerosissime scimmie cappuccine che ormai mi avevano anche stancato, dal ponticello riuscii a scorgere un caimano ma la cosa più bella fu senza dubbio la foto che son riuscito a fare ad un’ara verde, un pappagallo dalle notevoli dimensioni (stessa famiglia dell’ara scarlatta) che se ne stava lì tranquilla su un tronco di un albero totalmente indisturbata ed indifferente alla presenza delle persone.
Quel pomeriggio fu l’ultimo giorno di condivisione del viaggio con i due ragazzi, Kiko e Adri che avrebbero proseguito il viaggio verso Panama, a Sud mentre io mi sarei riavvicinato pian piano verso l’interno passando prima per altri posti.
Io intanto arrivai a Esterillos. Ero stanchissimo, veramente cotto, lasciandomi alle spalle un’altra giornata faticosa ma molto molto soddisfacente.
Da Esterillos a Jaco’
Dopo colazione, presi l’autobus: direzione Jacò.
Jacò è una cittadina di mare sul pacifico, molto turistica. Non sembra minimamente di stare in Costa Rica in realtà.
Quel giorno decido di riposarmi e di organizzare le giornate da lì a venire.
La stanchezza mentale iniziava a farsi sentire per quanto stessi facendo un viaggio bellissimo.
Il pomeriggio lo trascorsi in piscina in ostello e la sera con tutta tranquillità feci una cenetta in centro e un po’ di shopping per gli amici che mi avevano chiesto qualcosina dal Costa Rica.
Da Jaco’ verso la citta’
Mi sveglio con calma e faccio una passeggiata sulla costa, perdo un po’ di tempo qua e la per aspettare mezzogiorno.
A quell’ora ritirai il mezzo che avevo affittato il giorno prima, che avrei poi tranquillamente riconsegnato in aeroporto pagando un piccolo extra.
Jacò è sulla stessa autostrada che passa davanti al parco nazionale del Carara e sul ponte dei coccodrilli e così ne approfittai per tornare nuovamente al parco.
Quel giorno però non fu un giorno soddisfacente a livello fotografico, però c’era una guida molto esperta che teneva un gruppo ed io ne approfitto per ascoltare quel che stava dicendo.
Finisco il giro al parco, prendo il mezzo e mi dirigo sul ponte dei coccodrilli.
Dal ponte si vedevano una trentina di coccodrilli sdraiati sugli argini mentre qualcuno, incuriosito dalla nostra presenza, si dirige proprio sotto noi abituati a ricevere cibo dai passanti.
Lì vicino c’era la cittadina di Tarcoles che ad oggi non mi spiego come non abbia avuto desiderio di visitarla poiché era molto caratteristica e ricordo di una scena che non so neanche perché non avevo deciso di fotografare. Ero in macchina e c’era un traffico assurdo e stavo praticamente fermo.
Arrivo in città finalmente e prenoto un ostello che tutto sembrava tranne che un ostello poiché era una struttura gigantesca, nuova ed era impossibile che chiedevano solo 10€ per un posto letto con colazione inclusa.
Il posto era bellissimo e lo prenotai per 6 notti, poiché sentivo che il mio viaggio era quasi concluso e avevo la necessità di riposarmi e quello era il posto perfetto: avevano la piscina, la palestra, il biliardo ed una sala yoga.
Quel pomeriggio mi venne a trovare Krizia e passiamo la serata sul terrazzo dell’ostello, chiacchierando e con qualche birra fresca.
Poi lei torna a casa e ci siamo dati appuntamento per il giorno dopo per farci un aperitivo.
In ostello a San Jose’
La colazione veniva servita in un ampio salone al piano terra e nonostante fosse alta stagione, l’ostello non era particolarmente pieno.
Mentre mi gustavo la crepes col miele con gli occhi ancora assonnati, sento poco distante da me una conversazione in italiano: era la receptionist ed un altro ragazzo con accento del nord.
Faccio finta di nulla per un po’, poi quando il ragazzo si sedette al tavolo mi sono presentato. Lui si chiamava Alessandro, era in Costa Rica più o meno da un annetto e faceva il tatuatore.
Subito pensai di farmi tatuare qualcosa che mi ricordasse il viaggio e alla fine cosa ho fatto? Avete presente quel famoso tatuaggio della raganella fatto in Australia 6 anni prima? L’ho fatto ripassare con delle linee che prima non c’erano e ci ho fatto aggiungere la scritta “Pura Vida” che tradotto in italiano significa appunto Pura Vita ma in Costa Rica viene usato un po’ per tutto, anche quando entri in un negozio e invece di dirti grazie ti rispondono con Pura Vida.
Contento del mio tatuaggio ripassato vado a cercare una farmacia per comperare della crema da applicarci su.
Il pomeriggio raggiungo Krizia in un locale ad Heredia, il Kawah caffè e non appena si accorsero che non ero del posto mi iniziarono a chiedere di dove fossi, che lavoro facevo ecce cc…Alla fine volevano che mi fermassi li a lavorare per introdurre la pizza italiana nel loro locale (quant’è facile trovare lavoro come pizzaiolo ovunque nel mondo).
Dopo l’aperitivo, passeggiata in un centro commerciale e decidiamo di tornare assieme alla terrazza dell’ostello per la solita chiacchierata vista tramonto.
San Jose’
Nel mio dormitorio nel frattempo si erano aggiunte altre persone e quando mi sveglio, cercando di non far rumore, vedo molti letti che si erano occupati.
Scesi a far colazione e nel frattempo concordai con Raquel per andare a visitare un posto li vicino che era un centro di recupero di animali. Vi erano animali feriti, o che avevano avuto problemi di qualsiasi entità e che quindi non avrebbero potuto sopravvivere in natura.
C’era di tutto.. Mi colpirono due cose: la pelle di anaconda esposta in un salone e il pitone reticolato all’interno di una teca. L’anaconda l’avevo sempre e solo vista nei documentari e fino ad allora non avevo potuto realizzare quanto fosse grande. Non finiva più, era lunga almeno 7 metri.
Bellissima esperienza.
Salutai Raquel ed intanto per il giorno dopo avevamo programmato di andare a visitare il parco nazionale che ospitava il vulcano Irazù, un altro simbolo del paese, nella regione Cartago.
Vulcano Irazu’
Colazione e via all’appuntamento con Raquel.
Il vulcano in sé si rivelo un po’ una delusione: si carino, ma niente di che. Il costo dell’entrata era troppo alto per quello che ci aspettava ma era comunque un posto in più che avevo visitato.
Durante il viaggio di ritorno ad certo punto sentiamo un rumore forte provenire da sotto il mezzo dopo aver preso una buca bella profonda. Si era rotto qualcosa, il rumore non cessò più.
Per fortuna avevo pagato un’assicurazione extra che mi avrebbe coperto qualsiasi tipo di sinistro, meno male ma il timore di far brutta figura alla riconsegna mi stava già assalendo. E se poi mi avrebbero fatto pagare qualcosa? Mi ero innervosito, e non poco.
Raquel però ebbe un’idea: mi disse di fermarmi in una cittadina che si trovava sulla strada di ritorno perché c’era lì una chiesa consacrata ed anche molto famosa. Uscì dalla chiesa con dell’acqua santa che versò sulla mia macchina facendosi il segno della croce. In quel momento mi tranquillizzai: la macchina emetteva ancora quel rumore strano, ma in fin dei conti camminava ancora.
Riporto Raquel a casa e la saluto ringraziandola di tutto, per l’aiuto, per la disponibilità del primo giorno quando venne a prendermi e per la compagnia. Io sarei ripartito il giorno e credetemi, non vedevo l’ora. Ero stanco e lo dimostra il fatto che negli ultimi giorni non stavo scattando alcuna fotografia.
Rientro in ostello e indovinate un po’? Incontro Kiko e Adri per purissimo caso, anche loro attratti da quella struttura trovata su booking… Ci abbracciamo come fossimo amici di una vita.
Quando si viaggia e si esce dall’ordinario, tutto diventa più intenso e la mente sembra d’un tratto essere sempre presente e consapevole di quello che sta accadendo. Io son sicuro che a distanza di anni, ricorderò tutto dei miei viaggi.
Rientro a Casa
Il volo era di pomeriggio e decido di rilassarmi in vista del lungo viaggio che mi attendeva con uno stop a Madrid di una notte (mia scelta) per visitare la città.
Mi sentivo triste e felice allo stesso momento.
Fu un’avventura bellissima, ricca di emozioni, di risultati fotografici, di scoperta, di libera iniziativa.
Ero andato in solitaria in un paese dell’America Centrale da fotografo principiante ma con la fame di vittoria (caratteristica che mi ha sempre un po’ contraddistinto). Era successo tutto nei 5 mesi prima della partenza: ero tornato nel mese di Maggio da una stagione lavorativa in Austria e avevo messo da parte un bel gruzzolo che decido di investire tutto nello stesso giorno, ma per un semplice motivo: avevo il denaro necessario per dare vita ai miei sogni. Nello stesso giorno comprai la mia auto, la prima macchina fotografica, il biglietto per il Costa Rica ed il corso professionale da Tour Leader che intanto stavo facendo a cui avrei dovuto dare l’esame la settimana seguente.
Era fine Novembre ed avevo solo una settimana di tempo per fare due esami (uno scritto e uno orale) per poi riprendere il treno per tornare di nuovo in Austria per una nuova stagione invernale da pizzaiolo.
In quella settimana succede qualcosa di magico: mi chiamò un amico dicendomi che a Pescara c’era una mostra fotografica di un ragazzo viaggiatore che amava fotografare persone. Ci andai.
Era bravissimo nel suo genere e proprio quella sera, mi viene in mente un’idea. Era di Lunedì.
Chiamo Nicola, uno dei miei migliori amici di sempre che era titolare di un cocktail bar nella nostra città di Chieti e gli propongo di fare una mostra fotografica all’interno del suo locale.
La sua risposta fù “Si va bene”.
Praticamente in soli 5 giorni rimanenti avrei dovuto fare l’esame scritto e quello orale che non avevo minimamente preparato.
A parte che una volta tornato dal viaggio mi veniva da piangere continuamente, come se sentivo il bisogno di esternare quella valanga di emozione e di avventura che avevo addosso.
Ma mi “sfogai” in maniera diversa: inizio a selezionare tutte le foto che avrei stampato per la mostra e che avrei poi incollato su dei cartoncini neri.
L’esame scritto non fu difficile, era tutto a quiz e qualche domanda aperta.
Per l’esame orale preparai un itinerario turistico proprio per il Costa Rica; ero appena tornato e mi sentivo completamente padrone del mio viaggio che avrei presentato ad una qualsiasi agenzia di viaggi e che non avrebbero mai potuto rifiutare. L’esame orale si concluse con un lunghissimo applauso da parte di docenti, giuria e compagni di corso.
Ero orgoglioso di me, ma più che altro avevo capito qual era la mia strada. Per quanto difficile, mi veniva naturale. Il viaggio e la fotografia racchiudono un po’ tutto quello che è la mia persona.
La sera stessa dell’esame avevo la mostra da Nicola e avevo solo due ore per preparare i cartoncini.
Chiamo Maurizio, uno dei miei migliori amici che mi viene a dare una mano e che durante tutto il viaggio avevo aggiornato costantemente su tutti i miei risultati.
Ad un tratto sembravano tutti fare il tifo per me, quella per me fu un’ulteriore conferma del fatto che fossi sulla giusta strada.
La sera da Nicola facemmo il pienone: avevamo allestito il locale in una maniera molto carina ed attraente. Io avevo venduto tantissime stampe e Nicola aveva fatto la sua serata vendendo i suoi cocktail. Mi mandò un audio la sera tardi. Io ero nel mio letto ma avevo troppa adrenalina addosso, chi riusciva a dormire? Mi mandò un audio di qualche minuto che mi riempiva di complimenti, mi diceva di andare avanti ora che avevo capito definitivamente qual era la mia strada.
Piangevo, ero felice.
Dopo qualche ora avrei avuto il treno per l’Austria.
Fine di un’avventura, fine dell’avventura.
Grazie Costa Rica.